
Era entrata nella stanza con un passo scandito. Il rumore dei suoi tacchi suonava una piccola cantilena. Si sedette compita, il maglione blu girocollo si incontrava con i suoi occhi azzurro chiaro, le labbra morbide e le braccia abbandonate in grembo, come se volesse stringere qualcosa. Si chiamava Annalisa, aveva 34 anni. Mi ha parlato della sua storia. Io la scrivo come Annalisa me l’ha raccontata – usando le mie parole – come io l’ho compresa. Lei mi ha parlato sommessamente, mentre gli occhi azzurri si scioglievano sulla sua pancia, nel blu del maglione.
Leggila questa storia, parla di una donna che ha bisogno di se stessa.
Ma davvero vuoi lasciarmi? Annalisa si racconta
“Il mio sguardo sbalordito si fermò contro il vetro della macchina. Fuori c’era un parco ma io non lo vedevo. Vedevo solo il mio dolore. Si era fatto piccolo piccolo, in un angolino, per dare tempo al mio cuore.
Marco mi aveva appena detto che era finita.
«Mi stai prendendo in giro?»
Erano le uniche parole che ero riuscita a pronunciare mentre le mie mani si muovevano nervosamente, come per rovistare da qualche parte. Solo il giorno prima gli avevo parlato di bambini – dei nostri bambini – di una casa insieme, di una vita insieme. Lui mi aveva guardato e io pensavo fosse d’accordo. Pensavo che il mio desiderio profondo di famiglia fosse anche un pezzo di lui. Era certa di leggerlo nei suoi occhi scuri.
«No Annalisa» la voce di Marco risuonò in macchina. Bassa e strozzata. Sembrava sbattere contro i vetri.
«Erano progetti tuoi. Sono sempre stati progetti tuoi. È in questi desideri quasi ossessivi di famiglia che hai fatto naufragare il nostro amore. Ma non te ne sei mai accorta».
Mentre Marco pronunciava queste parole in lontananza una sirena accompagnava il mio sguardo fermo contro il vetro, come se fosse intrappolato. Sentivo i miei pensieri arrancare faticosamente tra le lacrime. Volevo spingere giù il dolore, in qualche posto dove non facesse così male. Mi venne in mente Sabrina, la mia migliore amica.
«Sei sicura che lui voglia quello che vuoi tu?».
«Spero di si». Io voglio una famiglia. Ho 34 anni e mi sento vecchia se non costruisco qualcosa di stabile».
Mentre avevo detto quelle parole sapevo che 34 non sono molti, che la vita era ancora tutta davanti a me. Ma dentro una vocina miagolava: «Sta diventando tardi, sbrigati, sbrigati, sbrigati». La vocina mi raccontava delle mie amiche, delle domeniche che passavano con il marito e i figli… mentre io no, io una famiglia non l’avevo ed era come se un filo sottile si stesse dipanando nel tempo, senza lasciare i segni che volevo.”
Annalisa sospese per un attimo le parole del suo racconto. Mi sembrò di vedere quel silenzio volteggiare in aria, con la sua voglia di famiglia, un desiderio spontaneo e naturale per molte donne. Un richiamo che quando arriva si fa sentire forte. Intanto i suoi occhi azzurri nuotavano nel maglione blu, come in un mare che si mescolava al suo cuore in lacrime. Poi proseguì.
“Eppure, se adesso ci penso, i segni di progetti in direzioni opposte c’erano stati. Mi ricordo una domenica di sole in moto. Avevamo passato il pomeriggio tra prati verdi e strade di asfalto liquido.
«Amo viaggiare, amo sperimentare sensazioni nuove»
Negli occhi di Marco, quando me lo disse, c’era una luce speciale. La sua bocca parlava dell’Europa che voleva toccare nei suoi anfratti, per raccontarla come giornalista – non da turista qualunque – che sulle gomme scopriva posti nuovi.
«Ti voglio vicino» mi aveva detto, con gli occhi scuri che brillavano «perché ti amo».
Poi mi aveva guardata. Nel suo sguardo c’era un punto di domanda, la ricerca di un’approvazione.”
Nel mio incontro con Annalisa le feci alcune domande, per comprendere meglio la loro relazione. Lei mi disse che Marco non le aveva chiesto di passare la vita in moto. E non le aveva detto che non voleva un futuro con lei. Le sue parole le chiedevano la sua presenza, il calore della sua passione per una relazione condivisa. Ma Annalisa era assente. Come se il suo perimetro avesse solo due lati: un corridoio che da una parte indicava famiglia e dall’altra bambini. Anche a lei piaceva viaggiare, ma i progetti di Marco difficilmente l’accendevano. Ce n’erano stati altri dai quali era uscita in punta di piedi, defilandosi silenziosa nei contorni dei suoi sogni familiari. Erano quelli i progetti che avrebbe voluto sentire da lui.
Infatti era da tempo che aveva iniziato le sue indagini. Più precisamente poco dopo che si erano conosciuti..
“Fu questa la domanda che feci a Marco: «Ma tu vuoi dei bambini?».
In quella domenica assolata che sapeva di erba e di asfalto era proprio la parola “bambini” che io volevo sentire dalla sua bocca.
Gli occhi scuri di Marco in quel momento però sembrarono cercare altro.
«Si Annalisa, da te li voglio». Deglutì. «Ma voglio anche te».
Lo sguardo di Marco, fermo contro il vetro della macchina, adesso non brillavano più, come quando mi raccontava dei suoi sogni. Era triste.
«Mi sono sentito schiacciato dai tuoi sogni ossessivi, un dovere da compiere presto, sopra ogni altra cosa»
Nel tempo, disse Marco, qualcosa si era rotto. Come un vaso che cade e va in frantumi. Lo guardi e pensi che da quei cocci non puoi più tirarci fuori niente. Non c’è una colla capace di riportare le cose come erano prima. «Anche io avrei voluto una famiglia con te, ma non volevo diventare il protagonista delle tue ossessioni».
Mentre Marco mi parlava ho guardato un bambino correre nel vialetto a fianco della macchina. Il mio cuore adesso sentiva i denti del dolore. Non riuscivo più a tenerlo in quell’angolo, piccolo e compresso. Adesso era entrato dentro. Con quei morsi voraci di una storia che finisce.
Li conosco bene, sai Simona.
Ti sbranano quei morsi, lasciando solo pochi avanzi: i resti di te stessa, i graffi del tuo rammarico, il sangue dei tuoi sbagli, il bruciore dei tuoi dubbi.
E poi sono iniziate le domande senza risposta.
«Ho sbagliato io o ha sbagliato lui?»
Ho perso tutte le mie certezze. Mi sento come una cordicella sospesa nel vuoto. Dove mi aggrappo? Di cosa faccio parte? Chi sono? Sono momenti in cui le risposte non arrivano.
C’è solo una pagina bianca tutta da riscrivere.”
Un singhiozzo ruppe il silenzio. Gli occhi azzurri di Annalisa si staccarono dal maglione blu. Erano inondati di lacrime. Raccontavano il male che sentiva: l’uomo che amava l’aveva lasciata e ancora una volta il suo progetto di famiglia era andato in frantumi.
E non era la prima.
Mi disse che era già successo un’altra volta.
Era un copione che si ripeteva…
Ho bisogno del mio progetto di famiglia, a tutti i costi
Un progetto di vita comune è importante, ma certe volte le donne lo trasformano in ossessione. Cercano un uomo per dare vita al loro sogno, non per costruire una relazione. Conoscono una persona e subito pensano “Mi piacerebbe come padre dei miei figli”. Se la relazione inizia non passa molto tempo dal momento in cui cominciano a parlare di famiglia, di vita insieme, di come vorrebbero la casa. È ormai risaputo che gli uomini scappano da queste situazioni. Ma il problema non è questo. Il problema principale è che le donne scappano da se stesse. Scappano da un femminile completo, che fa crescere le cose perché c’è l’humus fertile della loro essenza. Vogliono aderire a un modello prestabilito e se non arriva tentano di crearlo artificiosamente, mettendo insieme i pezzi anche se non combaciano, come quando vogliamo fissare qualcosa con lo scotch ma non tiene. Il progetto di una famiglia è certamente importante per molte donne. Ma non può diventare la priorità. Diversamente le relazioni d’amore non funzionano. Perché sono nutrite di aspettative, di modelli preconfezionati. Sono come quei dolci già pronti di cui mettiamo insieme gli ingredienti in bustina, mescoliamo et voilà… ma quello che otteniamo è un surrogato di un cibo nutriente e preparato secondo la nostra creatività.
[sam id=4 codes=’false’]Una relazione d’amore non può basarsi su questi presupposti. Non può nascere dal desiderio di famiglia. L’incontro con l’amore non può essere mosso dalle aspettative, dai progetti preconfezionati. Deve essere un incontro e basta. Dove le cose succedono nel loro corso spontaneo.
Ma dopo i trent’anni, o poco più, nelle donne si insinua l’ansia del “Sarò in tempo?”. E allora la relazione parte da questo presupposto: “devo trovare il padre dei miei figli, l’uomo per la mia famiglia”.
E’ quello che è successo a Annalisa. Il suo universo si era ristretto solo al suo sogno – del tutto naturale – di famiglia e figli: sapeva cantare solo quella melodia. Ogni giornata trascorsa senza arrivare al suo obiettivo era un fallimento che rallentava il suo progetto di vita. E così lei cercava di rifinire i bordi, cucire le estremità di una storia che voleva modellare a suo uso e consumo. Lui l’avrebbe voluta amare in modo diverso, lasciando che fosse l’evoluzione della loro storia a partorire il futuro. Lei invece aveva già previsto tutto e le sue mani lavoravano instancabili per realizzare il ricamo che era già disegnato nella sua testa.
Il sogno di molte donne è uno: amare e prendersi cura della propria famiglia.
Ma devono capire che non basta. Non basta per raggiungere la felicità, non basta per creare relazioni positive, non basta per sentirsi piene di se stesse.
Nella Via Femminile, con Mila Raisse, la donna che mi ha guidato in questo percorso – la mia Maestra – ho imparato che per costruire una solida relazione d’amore prima di tutto è necessario l’incontro con la propria anima. Il desiderio di se stesse deve precedere il desiderio di una famiglia, dei figli, di un partner. Senza un desiderio profondo della propria anima, la vita delle donne non è facile: può diventarlo per un po’, quando riescono a raggiungere i loro obiettivi d’amore, ma l’assenza della propria anima nel tempo si fa sentire. Troppe volte mi trovo ad ascoltare i racconti di donne che a 45 anni, o più in là, mi dicono di avere sbagliato, di aver puntato tutto sulla relazione amorosa, sui figli, sulla famiglia. E di ritrovarsi incerte, vuote.
Anche se amano i loro figli e la loro famiglia profondamente, c’è qualcosa che non basta, qualcosa che manca.
Manca il calore di se stesse, manca la passione per se stesse, manca l’amore e l’entusiasmo per se stesse. Ma è proprio tutto questo che rende piena la nostra vita. E rende piena la nostra presenza con gli altri: quando siamo in connessione con noi stesse siamo compagne migliori, madri migliori, amanti migliori. Donne speciali che lasciano attorno a sé qualcosa di speciale.
E’ nell’incontro con noi stesse che può nascere l’amore vero, una storia d’amore scritta con le parole dell’anima…
Cara amica della Via Femminile, tu cosa ne pensi?
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Ti abbraccio :kiss:
Simona
Le storie che descrivo sono storie vere. Di donne che mi hanno dato il permesso di scriverle. Per rispetto alla privacy ho però cambiato i particolari e i nomi. Quando ho chiesto alle donne di poter condividere le loro storie alcune mi hanno detto di sì, altre di no. Io le ho capite entrambe. Se penso alle storie della mia vita, ce ne sono alcune che voglio condividere, altre che preferisco tenere private. Certe volte mi è successo che qualche donna mi abbia chiesto se sul suo racconto potevo scriverci una storia. Mi ha detto che le sarebbe servito per la sua consapevolezza. Per rivedersi con occhi nuovi. Se ho potuto l’ho fatto. Apprezzo dal profondo del mio cuore le donne che hanno voluto consegnare il loro femminile tra le mie braccia. Custodisco tutto con cura, con il rispetto e l’amore che ogni donna merita.
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