Noi donne – giustamente – ci impegniamo per la parità. E in diversi campi abbiamo ottenuto dei risultati.
C’è però un campo in cui i risultati sono nulli. La spiritualità. Forse potresti pensare che non è rilevante.
Ma non è così. Perché la dimensione spirituale definisce i valori più profondi e importanti della vita. Spesso sono proprio questi valori a determinare le nostre scelte, il nostro modo di essere, i nostri innamoramenti, l’educazione che diamo ai figli, lo scopo della nostra esistenza, i sogni a cui vogliamo dare forma.
Con spiritualità non mi riferisco alla religione, ma alla concezione del divino che fa parte di ciascuno di noi, credenti e non credenti.
C’è una spiritualità maschile e una femminile
Per darti un’idea ti chiedo di immedesimarti in una situazione che a noi tutti può capitare: un momento molto difficile.
Ci sono delle volte in cui ogni cosa sembra andare a rotoli, la situazione si fa drammatica, il dolore trafigge come una lama: un abbandono in amore, un licenziamento improvviso, un figlio che prende una brutta strada, un progetto importante che fallisce, una malattia, un incidente, un lutto.
È proprio in questi momenti che l’essere umano – più di altre volte – alza gli occhi al cielo e mormora: «Dio aiutami».
E ora un’altra scena. Il problema che ti tormentava si è risolto, oppure ti accade all’improvviso una cosa bellissima. Con molta probabilità, nel colmo della gioia, hai esclamato: «Grazie a Dio!» e forse ancora una volta hai guardato su in alto.
In tutti e due i casi c’è stata la ricerca di un contatto con il divino, con un’entità più grande, con la tua dimensione spirituale. C’è un particolare, però. Questo tipo di contatto è spiritualità con modalità maschili. Non femminili. Ciò non significa che sia sbagliata. Anzi. Però c’è anche un’altra modalità: al femminile. Vediamo la differenza.
La via del cielo e la via della terra
Si dice “Padre Cielo” (o Padre Celeste) e “Madre Terra”. Adesso ti chiedo: come ti sembrerebbe il contrario? Cioè “Padre Terra” e “Madre Cielo”. Strano vero?
C’è un motivo ben preciso. Perché la spiritualità maschile è la via del cielo. La spiritualità femminile è invece la via della terra. Andiamo a scoprirle. Partiamo prima da quella a cui siamo tutti abituati, la spiritualità maschile, per poi comprendere quella femminile.
Lassù in cielo
«Dio è lassù, nell’alto dei cieli»
«Quando muori l’anima va in cielo»
«Volesse il cielo che… ».
La spiritualità al maschile – Dio – è al di sopra della realtà, in una dimensione elevata. Il principio divino è in alto. L’essere supremo è distante, in cielo. Fa parte di una dimensione superiore, inconoscibile e irraggiungibile. Una perfezione a cui l’uomo aspira.
Adesso potresti pensare: «Certo, è ovvio: questo è ciò che significa divino». Ma la realtà è che questa concezione è ovvia secondo una visione spirituale maschile. Ma ce n’è anche un’altra: una visione spirituale al femminile.
Giù nella terra
Se la spiritualità maschile guarda in alto, in cielo, verso un essere supremo, la spiritualità femminile guarda verso la terra, verso il centro, verso un divino fatto di sacralità nel quotidiano.
La spiritualità maschile è trascendente e ascetica, quella femminile è immanente e concreta. Nella spiritualità femminile il divino è in ogni cosa: nei fiori che crescono sul davanzale, nella brezza leggera che ti accarezza il volto, nella fiamma della candela che illumina il buio, nel cibo che hai preparato, nel tuo corpo che ti accompagna nella vita. Se la spiritualità maschile è la via del cielo e si riconosce in Dio, la spiritualità femminile è la via della terra e si riconosce nella Dea.
[sam id=4 codes=’false’]Siamo orfani spirituali
Ma perché nella nostra cultura vicino a Dio non c’è anche la Dea? Quando nominiamo la divinità diciamo “Dio”, “Padreterno”, “Signore”, “Lui”, “Egli”. Non diciamo “Dea”, “Madreterna”, “Signora”, “Lei”, “Ella”. Sostantivi e pronomi al maschile non sono una discriminazione grammaticale. Sarebbe irrilevante. Il problema risiede nel fatto che dietro a questa linguistica – o raffigurazione – c’è tutto un sistema di valori: maschili e non femminili.
Il divino, nella nostra società, si esprime al maschile. C’è un Dio. Ma non c’è una Dea. Vicino a una divinità maschile manca quasi completamente una divinità femminile.
La nostra è una società orfana spiritualmente. È come se nelle nostre famiglie ci fosse solo il padre e non la madre. È come se l’essere umano fosse rappresentato solo dall’uomo e non dalla donna. È come se la nostra essenza si manifestasse solo al maschile e non al femminile. Non c’è equilibrio, non c’è complementarità.
L’essenza del maschile da sola non è completa. Così come non lo sarebbe quella del femminile. Sono necessarie entrambe.
Ma la Dea chi è?
È necessario dare alcune definizioni, perché il concetto spesso non è affatto chiaro. Per comprendere bene cos’è la Dea è utile prima definire cosa non è. La Dea non è le dee, cioè le divinità femminili presenti nella mitologia o nelle tradizioni religiose di tanti popoli. Con Dea non si intende la dea dell’amore, della maternità, della poesia, della guerra, della magia e moltissime altre. Così come gli dei, le dee rappresentano l’essere umano divinizzato nei suoi vari aspetti.
Non sono però il principio divino, nella sua essenza. Non rappresentano la Dea nemmeno le immagini femminili dell’iconografia religiosa. Sono donne santificate. Non sono la Dea. La Dea non è la “Madre” o meglio non è solo quella. La “Dea Madre” è un modo in cui viene rappresentato il divino femminile. La Dea è però un principio spirituale completo. Molto più vasto di quello della maternità o della fertilità.
Non si può parlare quindi solo di Dea Madre. Così come Dio non è solo Dio Padre. Quello della madre è l’aspetto del femminile più fortemente enfatizzato dalla nostra cultura. Non è però l’unico.
La Dea non è un archetipo, anche se spesso viene definita in questo modo. Non è cioè un modello primario, un simbolo di riconoscimento valido universalmente.
La psicologia parla spesso di questi “modelli”. Ma se la Dea – come il Dio – è certamente un archetipo non è però solo questo, come invece spesso riportano fonti storiche, letterarie, filosofiche e psicanalitiche. L’archetipo assomma in sé molti significati simbolici.
Ma non è il divino. Considerare la Dea un archetipo – anziché un’essenza spirituale – sminuisce il femminile perché Dio, l’essere supremo, la divinità è e resta maschile. La Dea non è il Dio al femminile. L’uomo vive e sente la presenza divina in un modo molto diverso dalla donna. Concepire la Dea come la versione femminile di Dio non è quindi corretto.
Cos’è allora la Dea? La Dea è l’espressione del principio femminile nella sua essenza. È la manifestazione dell’energia femminile primigenia: intensa, viva e pulsante in ogni donna.
Donne lontane dalla propria fonte
Senza la presenza della Dea le donne sono cresciute orfane: hanno perso una fondamentale risorsa che le aiuta a riconoscere la propria essenza. Sono lontane dalla propria fonte interiore.
Incontrare la Dea per le donne ha quindi un valore molto importante. Significa sviluppare una conoscenza concreta e profonda di se stesse. Per giungere ad una percezione dell’essenza del proprio essere femminile.
Per il mondo femminile questo è un processo importantissimo. Spesso la donna ha un approccio parziale con la propria femminilità. Non si sente donna. Vive un senso di disorientamento interiore. Incontrare la Dea è un aiuto, un orientamento per ritrovare un’autenticità di espressione di sé. I principi che si manifestano attraverso la Dea servono a portare più facilmente in contatto con l’essenza del femminile.
Verso l’integrazione spirituale
Spiritualità maschile e spiritualità femminile: due modi diversi di esprimersi, di percepire il divino.
La spiritualità maschile si manifesta negli spazi aerei del cielo, senza forma e senza confini. È astratta, al di là della realtà fisica, lontana, perfetta, irraggiungibile. Ci aiuta ad andare oltre il reale, alza le nostre prospettive, dilata gli orizzonti.
La spiritualità femminile invece è la realtà stessa, fa parte della sostanza, della terra. È concreta, vicina, nella materia, raggiungibile. Ci aiuta a connetterci con l’esperienza della vita reale, a trasferire il sacro nel quotidiano. Queste due vie spirituali non sono una migliore o peggiore dell’altra. Sono semplicemente differenti. E vanno integrate. Ma nella maggior parte dei casi non succede.
Un cielo perfetto, una terra rinnegata
Diciamo “è celeste” di qualcosa che è solenne, sublime, soprannaturale, divino. Diciamo “è terra-terra” di qualcosa che è rozzo, banale, materiale, grossolano. Ciò che è in cielo, su, in alto anche nelle forme linguistiche che utilizziamo quotidianamente ha più valore rispetto a ciò che è in terra, giù, in basso. Con “superiore” sottintendiamo il positivo, con “inferiore” il negativo.
I beni celesti sono i beni spirituali. I beni terreni sono i beni materiali. Il paradiso è in alto, in cielo. L’inferno è in basso, nella profondità della terra. La nostra cultura concepisce come spirituale soprattutto ciò che è in alto, lontano dalla realtà. Ma quando il divino è concepito solo in una visione trascendente, manca l’equilibrio. Occorre anche una visione spirituale al femminile, che concepisce il sacro nella terra, nel corpo e nelle azioni del quotidiano.
Una spiritualità immanente, al femminile, rende sacra la materia. La Dea è attorno a noi ed è noi. Questo diverso approccio determina una grande differenza. La natura, la fisicità e tutte le sue espressioni – anche la sessualità – acquisiscono un valore completamente diverso. Sono sacre. Sono manifestazioni del divino. È allora che molte cose cambiano.
[sam id=4 codes=’false’]Il mio corpo è sacro
La spiritualità femminile ci fa percepire il nostro corpo come sacro. Ed è allora che la relazione con la nostra fisicità si modifica completamente.
Percepire in profondità il corpo come espressione divina ci pone in una relazione positiva e d’amore con noi stesse. Anche la relazione con la nostra estetica ne trae beneficio: se infatti ci dedichiamo al nostro aspetto solo con le cure esteriori possiamo sentirci più belle o più sensuali per un po’, ma torna sempre a mancare qualcosa, siamo insoddisfatte per un motivo o per un altro.
Se prima non percepiamo noi stesse come una manifestazione speciale, come lo spazio sacro in cui si mostra la Dea, i nostri sforzi non porteranno a risultati apprezzabili. Anche la sessualità migliora attraverso una visione spirituale al femminile. Spesso l’abbinamento sessualità e spiritualità sembra quasi improponibile: secondo la concezione maschile il divino è lontano dal corpo. Ma secondo la visione femminile è nel corpo: la sessualità è perciò una sacra espressione.
Una terra sacra
Come è sacro il corpo, così è sacra la terra. La terra è il corpo della Dea. Nella visione spirituale femminile la Dea non solo si esprime nella natura. È la natura. Le montagne sono la sua colonna vertebrale. Le pietre le sue ossa. Le acque i fluidi del suo corpo e il suo sangue. La luna il suo volto. Gli esseri viventi il frutto del suo grembo.
Nella spiritualità femminile c’è un’intensa fusione e compartecipazione con gli elementi naturali: con la terra, il sole, la luna, le stelle, gli animali, le piante e ogni espressione di vita, nelle sue molteplici trasformazioni.
Discriminazione spirituale
Se della Dea tutti ne abbiamo sentito parlare, la nostra società tende tuttavia ad escludere il principio spirituale al femminile. Le donne hanno combattuto tanto per la parità dei diritti, per ottenere un’identità di uguale valore a quella maschile, ma è stato tralasciato questo aspetto fondamentale.
L’aspetto spirituale. La raffigurazione più elevata – quella divina – è solo maschile. E la spiritualità segue principalmente modalità maschili. La maggior parte delle donne si rivolge a Dio. Non alla Dea. Si riconosce in una spiritualità di tipo maschile, non femminile.
Ma se l’essere supremo lo identifichiamo solo al maschile, il femminile non viene altrettanto riconosciuto. Finché la società non riconoscerà una Dea di uguale valore a Dio, le donne saranno discriminate spiritualmente. Una cultura che non riconosce il valore della Dea è discriminante per il femminile. Così com’è discriminante che nelle scuole – alle bambine e ai bambini di domani – non venga insegnato che c’è anche una Dea oltre a un Dio.
La nostra società spesso sembra allontanarsi dalla dimensione spirituale. Ma la causa potrebbe risiedere non solo nello scarso desiderio di spiritualità ma anche nella mancanza di una dimensione spirituale integrata. Maschile e femminile insieme. La metà del genere umano – le donne – si trova infatti priva di una fonte spirituale in sintonia con il suo essere.
Negando la Dea si nega il principio femminile, perché è la rappresentazione della sua essenza. In questa negazione la donna viene privata di autonomia interiore: non può infatti usufruire di un percorso spirituale più vicino alla sua anima. Le donne hanno agito molto per i pari diritti e dignità a livello fisico e psichico. Adesso è necessario – anzi indispensabile – che gli stessi diritti – e la stessa dignità – vengano riconosciuti a livello spirituale.
Verso l’anima femminile
Cosa succede alle donne, quando scoprono la Dea? Si mettono in viaggio verso la propria anima. E tutto diventa più facile. È come riconnettersi con l’origine, con una voce antica, con un messaggio che proviene dal profondo di se stesse: ci si riconosce.
Il contatto con l’anima secondo una modalità femminile connette le donne con la loro più profonda natura integrale: si risveglia allora una presenza calda e viva che nutre giorno per giorno. La Dea può aiutare tanto le donne perché le riporta velocemente al loro nucleo femminile dove possono attingere più facilmente alla forza e al potere che c’è dentro di loro. Sarà allora che – quando lo spirito femminile integrerà quello maschile – ci sarà equilibrio.